“Maroni scontento per il voto su Cosentino? Non piangeremo”. Le parole di Umberto Bossi, pronunciate dopo il ‘salvataggio’ dell’ex sottosegretario all’Economia da parte della Camera, sono la ratifica ufficiale di una spaccatura interna fino ad ora derubricata solo a materia da retroscenisti politici. Ora invece è cronaca: Bossi contro Maroni, base padana contro Bossi, maroniani contro il cerchio magico del Senatur. Il voto contrario della Camera alle manette per il coordinatore del Pdl campano, quindi, ha spaccato la Lega. Non da oggi, però, bensì almeno da lunedì scorso, quando la segreteria di via Bellerio ha dato il via libera all’arresto di Cosentino.
In quell’occasione, era stato proprio Roberto Maroni a render nota la decisione, anticipando la linea dura della Lega sia nella Giunta per le autorizzazioni a procedere, sia a Montecitorio. Oggi, però, alla Camera è successo il contrario. Cosa è cambiato in quattro giorni? Semplice: è sceso in campo Umberto Bossi. Il leader storico, infatti, ha smentito l’ex ministro dell’Interno (ma anche la segreteria di via Bellerio), annunciando “libertà di coscienza” al momento di esprimere la preferenza. Risultato? Cosentino salvo, Lega spaccata e polemica interna durissima. Non era mai successo prima.
Mentre l’ex sottosegretario berlusconiano ancora stringeva mani e incassava complimenti dai colleghi, Maroni si è presentato ai microfoni delle televisioni e non le ha mandate a dire. “Non ho condiviso la posizione di lasciare libertà di voto. Io ero favorevole all’arresto. Ma non c’è nessun disaccordo con Bossi” ha detto l’ex ministro degli Interni, che ha poi rivelato di aver “ricevuto molti messaggi negativi dalla base e molti altri, invece, di apprezzamento per la mia chiarezza dell’altro giorno quando ho espresso la posizione della Lega che era quella di dire sì all’arresto”. Maroni, poi, ha cercato di spostare la questione su cosa hanno fatto in aula democratici e casiniani: “Molti voti a favore di Cosentino e cioè contro il suo arresto sono arrivati dall’Udc e dal Pd. Sono pochi, invece, i leghisti che lo hanno salvato”.
Evidentemente, però, non è stato davvero così. A rispondere a Maroni ci ha pensato Marco Paolini, deputato molto vicino a Bossi. ”Almeno 25-30 leghisti hanno votato no all’arresto” ha rivelato Paolini, che ha poi confermato i problemi interni alla Lega commentando l’assenza di Bossi in aula. “Evidentemente – ha detto – non voleva dividere di più le varie fazioni che si sono create nel partito, non voleva creare altri imbarazzi…”. Imbarazzi e fazioni che, quindi, ci sono. Non ne ha fatto mistero Guido Salvini, che schierandosi al fianco di Maroni ha sottolineto che “chi ha votato a favore del signorotto del Pdl napoletano Cosentino ha commesso un errore”. Salvini, poi, ha parlato anche dell’attuale rapporto con il Pdl (“la strada dell’indipendenza della Padania passa sempre più lontana da Arcore”), con tutta probabilità il vero motivo della spaccatura tra bossiani e maroniani.
Per averne conferma, basti ricordare quanto è successo stamattina a Montecitorio, quando tra le due fazioni leghiste si è arrivati quasi alle mani. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata quando Paolini (questa volta Roberto) ha citato Enzo Carra e il caso delle ‘manette spettacolo’ per avvalorare la tesi della necessità di respingere gli ‘arresti facili’. “Ma è vero che ti ha chiamato Berlusconi?” è stata la ‘risposta’ di alcuni colleghi di partito. Rissa sfiorata e deputati (tra i quali Davide Caparini) intervenuti per calmare gli animi e separare i contendendenti.
Poi il voto, le dichiarazioni piccate di Maroni, la replica di Paolini, la sponda di Salvini e, in serata, la rottura ufficiale con le parole di Umberto Bossi. “La Lega non è forcaiola”, “non c’entra Berlusconi nel cambio di rotta” e, soprattutto, quel “Maroni scontento? Noi non piangeremo”. Chi piange per le posizioni leghiste, invece, sono gli elettori padani, che hanno riversato il loro malcontento nei microfoni di Radio Padania. Alla trasmissione Che aria tira, infatti, l’accusa nei confronti della linea di Bossi è stata chiara: “Avete salvato un camorrista”.
La cronaca di giornata, tuttavia, rappresenta l’ennesima conferma di un rapporto assai teso da mesi tra Bossi e Maroni. Per molti, del resto, la linea del Senatur sul caso Cosentino è stato solo il pretesto per dimostrare chi ha in mano le redini del partito. Un segnale chiaro quello di Bossi, che ha voluto stoppare l’ascesa di Maroni su una questione di fondamentale importanza per il popolo leghista. Le conseguenze a livello elettorale saranno tutte da decifrare, ma per ora un dato è certo: il timone ‘politico’ del Carroccio è saldamente nelle mani di Bossi. La mossa del Senatur, tra l’altro, segna un riavvicinamento della Lega con il Pdl e con Berlusconi. Ma in cambio di una rinnovata comunione di intenti, l’ex premier potrebbe dover cambiare strategia e accogliere due richieste di Bossi: mollare Monti e andare subito al voto col Porcellum. Bossi, del resto, ha paura che Udc, Pd e Pdl si accordino sulla riforma del sistema di voto e che così, con il cambiamento dell’attribuzione del premio di maggioranza al Senato (ora su base regionale), mirino a ‘tagliare le gambe’ al Carroccio.
Maroni, a sua volta, ha compreso in anticipo le intenzioni di Bossi e per questo non vorrebbe andare a elezioni anticipate. Per un motivo ben preciso: se non cambia legge elettorale, Bossi e i suoi metterebbero nell’angolo i maroniani, si riprenderebbero il partito e stringerebbero di nuovo una salda alleanza con il Pdl e Berlusconi. Il progetto dell’ex titolare del Viminale, invece, punta a sfruttare l’interregno di Monti per lavorare a un nuovo centrodestra, con Pdl e Udc ma senza Berlusconi, e cambiare il sistema di voto. E come extrema ratio, qualora il ‘piano di epurazione’ a cui sta mirando Bossi dovesse andare avanti, i fedelissimi dell’ex ministro dell’Interno non escludono di poter chiedere la convocazione del congresso federale (invocato anche dalla base in rivolta su Internet), per andare a una conta vera e vedere numeri alla mano chi possiede il timone del partito. Muro contro muro. Perché alla fine, a prescindere dalle strategie dei maggiorenti del partito, saranno gli elettori leghisti a scegliere chi comanda tra Bossi e Maroni.